Friday, July 30, 2010

Man in the mirror - 14

“Avanti… Dottoressa, non abbia timore, siamo tutti qui ad aspettare lei... hihi!”.

Carla esitò un istante, i fumi delle droghe che le avevano fatto respirare nell’anticamera iniziavano ad ottenebrarle lievemente la vista, ma la sua forza di volontà e l’esperienza in Gestione delle Crisi, con tutto l’allenamento dei mesi passati nei Campi Segreti di Rinascita, riuscirono a farla restare lucida a sufficienza per sostenere lo sguardo di 10 e di tutti gli altri membri del Comitato che la stavano fissando. Si guardò intorno, non riconobbe nessun volto tra quelli scoperti, mentre riconobbe chiaramente lo stemma del Comitato sugli abiti di tutti i presenti.
Al centro della sala, illuminato da un cono di luce metà azzurra e metà gialla, stava il sottilissimo ripiano degli interrogatori, una specie di lettino sottilissimo, di un materiale semirigido ma in qualche modo malleabile, che prendeva la forma del corpo che ci si posava sopra. Era il tipico ripiano che si trovava nella Sale Operatorie e nelle Sale degli Interrogatori, comodo per muovere il corpo a piacimento durante gli “interventi”, ma anche per poterlo fissare e non farlo muovere di un millimetro, immobilizzando ogni parte del corpo, quasi come se un collante potentissimo vi tenesse bloccato ciò che vi si era adagiato. Il Kaiser!
“Sono onorata di una tale accoglienza e dal numero di ospiti, Signor...” e lasciò volutamente in sospeso la frase, in tono di sfida, come ad esigere di conoscere il nome di colui con cui stava parlando.
“Mi chiami Signore, non chiedo niente di più. Mi accontento di poco, no, Signori? hihihi”, disse 10 rivolgendosi in modo teatrale agli altri presenti, e facendo un inchino goffo dall’alto dei suoi due metri di altezza. “Non c’è bisogno di presentazioni, Dottoressa, lei conosce il Comandante Achilles Caesar, vero?”, ed indicè il lettino.
“Non è esatto, Signore” disse Carla sottolineando il “signore” con tono sarcastico, sorridendo e continuando la sfida verbale con 10. “Conosco il suo nome e la sua fama, nient’altro... Signore”, ed insistette ancora con l’accento sull’ultima parola.
“Ora la smetta di giocare, Dottoressa: lei conosce il Kaiser, non è vero? Si dice persino che sia stata lei a coniare questo nome, il Nome di Battaglia, come dite voi... hihihi! Ma quale battaglia? Voi “combattenti” o come vi chiamate, siete dei miseri microbi in confronto al potere del Comitato. I microbi erano gli organismi più potenti dell’Era Terrestre; miliardi, trilioni, milioni di miliardi di microbi all’interno di un unico essere umano... quando c’erano solo i Terrestri... e riuscivano a decimare intere popolazioni! Poi venne la Degenerazione Atrofica Digitale, Dottoressa: i microbi della DAD, portati dagli asiatici, quelle popolazioni inferiori che vivevano nella sporcizia e nel letame delle loro bestie, hanno tentato di distruggere il resto della popolazione terrestre. Ma non ci sono riusciti. Il grande Bjørnstad capì che gli asiatici erano la causa delle malattie, delle carestie, della decadenza dell’Unione Europea. Ma il genio... trovò il modo di invertire la rotta della Storia, ed usare gli asiatici persino a favore della causa. Quegli sciocchi Americani avevano passato decenni a cercare un antidoto alla DAD, e non capirono mai che quello stesso antidoto lo avevano avuto a portata di mano per anni. Lei, Dottoressa, sa cosa succede quando un Membro del Popolo che ha origini europee si ammala di DAD? E' un medico, lo sa di sicuro... ma le rinfresco un po’ la memoria: dapprima il sistema vascolare inverte la rotta... hihi... e lei di sicuro sa a cosa mi riferisco; il cuore inizia a pompare il sangue arterioso nelle vene, e quello venoso nelle arterie. Incredibile vero? E sa cosa comporta questo? La perdita di coscienza per almeno 24 ore... morte certa se la sindrome non viene calmata con dosi massicce di mexiletina e propafenone durante queste prime 24 ore. Se poi il malcapitato sopravvive, iniziano i problemi alla vista e all’udito: lampi negli occhi, tremori inconsulti, ronzii continui nelle orecchi, che in confronto quelli che sta vivendo lei sono uno scherzo”.
Carla, mentre ascoltava cercando di tenere l’attenzione alta per non cedere agli effetti delle droghe, riconobbe il flusso sanguigno di tutti i presenti: uno dopo l’altro avrebbe potuto isolare ognuno di quei suoni che echeggiavano nella sua testa, ed avrebbe potuto associare ognuno di essi alla persona a cui apparteneva. Ma nel frattempo le sue orecchie ronzavano, effettivamente... 10 continuò: “Dopo qualche settimana di atroci sofferenze, delirio continuo e progressione dei sintomi sempre più insopportabili... viene il... bello... la ciliegia sulla torta, come dicevano i nostri antenati... hihi. Le dita... quegli stupendi 10 strumenti che la Natura ci ha dato per sopravvivere... iniziano a dolere, poi a cambiare colore, a formicolare, sempre di più... Si perde l’uso di tutte le 10 dita, lentamente, ma inesorabilmente. E quando il dolore è ormai insopportabile, arriva la cancrena. Uno dopo l’altro... come rametti morti, si staccano... e cadono!”.
Carla capì che 10 stava usando questi argomenti per terrorizzarla, ma nulla di quanto lui aveva raccontato le fece smuovere minimamente i muscoli facciali, o distogliere l’attenzione dall’obiettivo: “Signore, io sono qui per interrogare il prigioniero, non per avere lezioni di Medicina. Mi permette di procedere in autonomia con le domande, come da protocollo?”.
“No, no e NO!” gridò 10, paonazzo in viso. “Il Comitato non permetterà ad una Sospettata di Alto Tradimento di interrogare un priogioniero, suo stesso complice! I suoi titoli, Dottoressa, non le faranno da scudo... e così nemmeno la stima che è riuscita ad ottenere presso alcune alte sfere...”. Immediatamente gli altri presenti iniziarono a sussurrare tra loro, a gruppi, creando un brusio di fondo che innervosì ulteriormente 10. Ma all’improvviso dal brusio si alzò un grido: “Il prigioniero si muove!”.
L’attenzione di tutti si spostò sul Kaiser: 10 gli si avvicinò, come a sottolineare a tutti che solo lui aveva il potere di vita e di morte; Carla rivolse lentamente lo sguardo al lettino, fingendo scarso interesse, ma drizzando immediatamente le antenne sul flusso sanguigno del Kaiser; gli sguardi di tutti gli altri “ospiti” si rivolsero su di lui, quasi ad attendere un segno del volto, un gesto, una parola.

Ed il Kaiser, con un filo di voce, iniziò a parlare: “Solo l’uomo che guarda se stesso nello specchio della Storia... sa... quel che deve... e quel che... non deve. Il tredicesimo Topo nel Fuoco aprirà l’Era della Morte. Solo un Popolo potrà salvare quel che resta della Vita: saranno uomini, donne, di una stirpe che mai ha imbracciato il fucile contro i suoi simili; saranno uomini, donne, che hanno conosciuto le lacrime e il dolore; saranno uomini e donne che riporteranno la Vita e la Giustizia... di un tempo... Il Poligono della Rinascit…”. Non fece in tempo a concludere la frase che 10, premendo il suo ricevitore, lo zittì violentemente: il materiale plastico del lettino avvolse interamente il viso del Kaiser, bloccandogli la bocca e tutti i muscoli facciali, immobilizzandolo e facendolo piombare in una catalessi profonda.
Carla sentì una serie di aritmie improvvise nel suo flusso, che stava ancora visualizzando e monitorando... poi lentamente il flusso rallentò, sempre più, fino quasi a scomparire. “Così il Comitato non mi permette di svolgere il mio compito, vado immediatamente a fare rapporto” disse rivolta a 10, “...attenderemo l’esito della decisione Giudiziaria e l’interrogatorio verrà rimandato”, tentò come ultima speranza per salvare il Kaiser.

Un suono scaturì all’improvviso dal ricevitore di 10, che, non appena vide chi lo stava contattando, si ricompose. Premette il pulsante per la comunicazione verbale e dichiarò: “10, a rapporto”. Premette nuovamente il ricevitore ed il Kaiser venne liberato completamente dal lettino. “Signori, lo spettacolo è finito. Guardie, la Dottoressa ed il Kaiser vanno al livello -1. Celle separate, isolamento. Dottoressa”, disse rivolgendosi a Carla in tono quasi calmo, “a tempo debito potrà fare tutti gli esposti che vorrà, ma ora lei è prigioniera. Buona fortuna... hihihihi”.

Monday, July 26, 2010

Mr B - Pater et filius

Quattro anni, e non ci sei più. Te ne sei andato in un giorno torrido, attorno alle otto e mezzo di sera. Estate, c'era ancora la luce del tramonto, mentre le cicale cantavano tutto il santo giorno sugli alberi, e per tanti giorni non le avevo nemmeno notate. Poi le ho odiate, pensando a quei giorni senza inizio nè fine per te, recluso in quel luogo senza tempo, senza ritorno... E alla fine ho imparato ad accettarle, quasi mi ci ero affezionato. Incredibile. Oggi, da tanti giorni, le stesse cicale continuano a cantare sotto la mia casa, mentre scrivo, mentre penso, mentre vivo.


Alla fine ho accettato le cicale, dicevo. Penso spesso alla fine: è un concetto che non mi appartiene, che non capisco, che non vorrei accettare proprio in nessun modo. Per me le cose della vita accadono, vanno, vengono, come le nuvole nel cielo. Un po' come se la vita fosse un dato di fatto. Le nuvole, come le cose della vita, si formano ed "iniziano" per caso, ce ne sono sempre (almeno nel mio cielo ideale, che non è quello tipicamente italico estivo), si scontrano, si sovrappongono, scompaiono senza che io me ne accorga. Ma ce ne sono sempre altre, pronte ad arrivare, a ripartire, a tenerti allenato.


Poi arrivano i temporali, che ti allontanano per un po' dall'azzurro del cielo, ma non dal cielo, quello c'è sempre, là sotto (o là sopra, dipende dai punti di vista). I temporali che squarciano il cielo, e spazzano via le nuvole, le scuotono, le rivoltano in tutti i modi. Ed è come quando ci si vedeva meno, per via della vita, del lavoro, degli eventi che scorrevano senza che ce ne accorgessimo. Ma c'era poi sempre il momento in cui le nuvolette tornavano allegre, e tornava il cielo azzurro. E si tornava insieme, per poche ore: una cena improvvisata sui colli, un pranzo domenicale nell'amata casa, due chiacchiere al telefono parlando del più e del meno, o delle ultime uscite di Andreotti. Che tempi, che temporali. Che belle dolci schiarite! Alla fine (che non c'era, appunto), tu c'eri sempre... sapevo che potevo contare su di te, sul tuo caratterino, sul tuo sorriso, sulla tua voce, sul tuo affetto non detto, ma dimostrato. Sulla tua dolcezza, che mi hai insegnato, e sulle tue poche e semplici parole di conforto. Tante volte anche solo di distrazione.


Odio la fine, e non so se questo "esperimento" l'avrà. O forse... proprio la Storia mi insegnerà che la fine non c'è mai - come ho sempre pensato, e sperato - e quindi siamo solo noi che la vediamo, anzi la vogliamo vedere, come per confermare a noi stessi che non ne siamo parte, finchè siamo vivi.


Mi piace illudermi di sapere come avresti letto questo "esperimento", mi sembra di sentire i tuoi commenti, la voce pacata. Mi illudo che ti sarebbe piaciuto molto scoprirlo, leggerlo, discuterne: magari avresti detto sorridendo che ho "preso spunto qua e là" (per non dire "copiato", certo!), "come del resto fanno un po' tutti... se scrive libri Bruno Vespa!!!", che è "un'idea originale", che "alla fine, dopo tanto lavorare coi computer, guarda un po' che sorpresa!"...


Sono certo che i miei ricordi di te nessuno mai potrà togliermeli, per questo la fine di te è un po' meno amara: tutto questo è un piccolissimo omaggio che ti faccio, che rimarrà nella rete per chissà quanti decenni. Quella rete che avevi imparato ad usare, in cui io sono cresciuto, dove tutto scorre senza pietà.


Magari quando il mio "esperimento" diventerà un romanzo di carta (alla faccia dell'iPad e degli e-book!), e ne terrò una copia per te, da portarti, prima o poi.


O magari mi sorprenderai, e verrai a prenderla tu, portandoci qualche buona notizia da laggiù. Quel che è certo, è che ti stai godendo i miei amati cieli, i bei paesaggi di montagna che abbiamo condiviso negli ultimi anni, la calma e il riposo che non hai avuto negli ultimi mesi.


E il tuo sorriso dolce è e sarà sempre con me. Papà.

Thursday, July 22, 2010

Wish you were here - 13

Josh stava rientrando verso casa, dopo la giornata di studio. Era stata una giornata come tante altre, illuminata da quella luce bianca del sole quando è offuscato da una patina di nubi, gas e afa che rendono la temperatura insopportabile, la luce troppo forte per gli occhi, specie per il riflesso sulle superfici chiare degli edifici. Non aveva mai amato il sole Josh, anche perchè non l'aveva mai visto veramente: sapeva che una volta il cielo era blu, il sole appariva nettamente nel mezzo del cielo, quando era giorno, ed il giorno era ben distinto dalla notte. Ma erano solo storie, di un passato lontanissimo... nemmeno suo padre, nè i suoi nonni, o i nonni dei nonni avevano mai visto il sole che si raccontava nelle storie per dormire.
Eppure Josh sentiva spesso raccontare da suo padre che prima o poi il sole sarebbe tornato a splendere nel cielo, e la "Nuova Era" avrebbe riportato la vita di un tempo. Che mai sarà stata la vita di un tempo... anzi, la "bella vita di un tempo", diceva papà...
E mentre questi pensieri gli frullavano per la testa, all'improvviso gli apparirono davanti tre suoi compagni di scuola: Terenç, Marcus e Guillermo, il gruppetto che tutti chiamavano "Tempesta", perchè ogni volta che c'erano di mezzo loro - tutti e tre insieme - arrivava qualche problema.
"Ecco il nostro compagno asiatico", disse Marcus in tono di sfida, ed intonò una cantilena: "Josh è un asiatico, Josh è un asiaticooooo...".
"Josh non solo è un asiatico, ma è fiero di esserlo", rimarcò Terenç. "Ahahah... vi rendete conto? Devi essere matto Joshua, gli asiatici sono sempre stati inferiori, sporchi, brutti, ladri. Per questo vanno puniti. Che ne dite ragazzi, gli diamo una lezione all'asiatico? Ahahahah!"
Josh non accettò la sfida, rimase con gli occhi puntati sulle punte dei piedi, accelerò il passo, si scansò dal gruppetto, strinse i denti e sperò che la smettessero. Ma a quel punto Terenç lo strattonò, tirandolo per lo zaino; lo fece sbilanciare all'indietro e Josh crollò all'indietro, gambe all'aria.
"Ahahahah", gridarono tutti e tre, e mentre ridevano lo colpivano con calci e pugni. Josh si divincolò, ma un calcio lo colpì violentemente alla mascella e lo stordì, al punto che si sentì svenire.
Mentre i tre vigliacchi continuavano a colpirlo, Josh pensava a suo padre e alle sue parole sull'uguaglianza tra le persone: "non è giusto e non è possibile", diceva, "che le persone pensino tutte allo stesso modo; le persone sono tutte uguali davanti alla legge, anche se la pensano diversamente una dall'altra". Il suo ultimo pensiero fu: "ma perchè io devo essere uguale a Terenç, Marcus e Guillermo? Papà, perchè mi hai illuso? Perchè non ci sei? Come vorrei che fossi qui, ora, a darmi forza e a difendermi!".
"Fermi, o chiamo la Guardia Municipale!", intimò all'improvviso una voce. Josh alzò gli occhi, annebbiati dal dolore e dalla luce potente. Hana...
Il gruppetto capì di essere nei guai, e con uno sguardo d'intesa i tre ragazzi si capirono al volo, e se la diedero a gambe levate, scomparendo tra i cespugli del parco del campus.
"Josh, che è successo? Ti hanno fatto male, ti porto io a casa, ora... è tutto finito". Hana lo caricò sulla sua biposto ed arrivarono in pochi minuti a casa, seguendo le indicazioni di Josh.
Hana premette il pulsante di richiamo alla porta della casa monofamiliare a cui erano arrivati. Mike aprì la porta, vide il volto di Josh tumefatto da pugni e calci, gli corse incontro e lo abbracciò forte: "Cosa ti hanno fatto? Chi è stato?".
"Mike, suo figlio ha bisogno di lei. Non gli racconti più quelle storie, altrimenti rischia grosso. Non adesso almeno, non si faccia sentire, ci vada piano! Suo figlio è molto intelligente, ed anche troppo sensibile. Non riesce a trattenere i propri pensieri, e sappiamo tutti come in questo mondo... ehm... ciò non sia possibile". Si fermò un istante, e riprese: "Certo, è possibile, ma molto costoso. Ci siamo capiti, Mike. Abbiate cura di lui... come ne sto avendo io... ed abbiate cura di voi". Abbassò gli occhi, e sottovoce sussurrò: "Paç fat!".